Letture civili

Lc 2 – Stato e società

Care amiche, Cari amici,

vi segnalo alcuni libri, tutti semplici e piccoli, che ho trovato utili per alimentare la mia coscienza civile, cioè comprendere con maggiore consapevolezza i problemi della società in cui vivo, il mio stesso stare insieme con gli altri, con voi.

Sento la tentazione di presentarveli con tante parole…, di spiegarvi perché ve li consiglio….Vi ripeto semplicemente: leggeteli (se non li conoscete già), e capirete perché ve li consiglio!

(le recensioni qui allegate sono riportate da internet; leggetele se volete)

 

 

1.- Piero Calamandrei: LO STATO SIAMO NOI. Chiarelettere 2011.

Solo con la partecipazione collettiva e solidale alla vita politica un popolo può tornare padrone di sé“.

 

Il libretto raccoglie interventi e scritti che coprono un arco temporale che va dal 1946 al 1956. Sono ripresi, nella maggior parte, dalla rivista “Il ponte”.
Il progetto che ha animato la vicenda umana e politica di Calamandrei è stato quello di “defascistizzare gli italiani” per fondare una nuova “religione civile” centrata sulla Costituzione del 1948. Su queste basi nasce la “cittadinanza attiva” dell’Italia repubblicana.
La visione del giurista fiorentino della Costituzione era una visione dinamica, si potrebbe dire progressiva: “Le Costituzioni – scriveva – vivono fino a che le alimenta dal didentro la forza politica”. Senza questo “spirito vitale” le costituzioni muoiono.
Per questo Piero Calamandrei, padre Costituente e tra i fondatori del Partito d’Azione, tra le figure più nobili della nostra storia repubblicana in un discorso ai giovani, giustamente celebre, tenuto a Milano nel 1955, nel salone dell’Umanitaria, affermava: “Quindi, voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla cosa vostra, metterci dentro il vostro senso civico, la coscienza civica, rendersi conto – queste è una delle gioie della vita – rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo di un tutto, nei limiti dell’Italia e del mondo”.
E’ un appello, quello di Calamandrei, all’agire politico nobile, ad una visione della politica come “scienza della libertà”. Che non è la libertà individualistica, l’individualismo infatti afferma il tragico orgoglio dell’uomo che considera la propria sorte staccata da quella degli altri che il fascismo ha portato ad etica suprema con l’urlo animalesco del “me ne frego!” (in nome di questo poi si schiacciano popoli e nazioni). Quella intesa da Calamandrei,invece, è la libertà intesa come interdipendenza: “libertà come consapevolezza della solidarietà umana che unisce in essa gli individui e i popoli, come coscienza della loro dipendenza scambievole; come condizione di giustizia sociale (…) I popoli saranno veramente liberi quando si sentiranno, anche giuridicamente, “interdipendenti”. Il federalismo, prima che una dottrina politica, è la espressione di questa raggiunta coscienza morale della interdipendenza della sorte umana, che intorno ad unico centro si allarga con cerchi sempre più larghi, dal singolo al comune, dalla regione, dall’unione supernazionale alla intera umanità”.
Siamo agli antipodi della logica leghista dove il primato sta nella separazione, il “federalismo” della Lega è atomismo invece che interdipendenza.
Per concludere queste brevi note: dicevamo, poco sopra, del progetto di Calamandrei per creare una nuova “religione civile” centrata sulla Costituzione. Ebbene questa non può nascere dalla “desistenza”, che è sinonimo di passività, rassegnazione, ignavia, assenza di futuro, ma al contrario nasce dalla “resistenza” che parte, scrive Calamandrei, da un “sussulto morale che è stato la ribellione di ciascuno di noi contro la propria cieca e dissennata assenza”. Per questo “ora e sempre RESISTENZA”.

 

 

2.- Sandro Pertini: LA POLITICA DELLE MANI PULITE. Chiarelettere 2012.

Un Presidente unico, scritto in maiuscolo per una volta.
Di Sandro Pertini, tra i tanti scritti e tutte quelle parole scolpite nel tono di voce deciso, ricordo un pensiero luminoso che dovrebbe essere una guida per le persone: “Più volte ho fatto i conti con il bilancio della mia vita e ogni volta sono arrivato alla stessa conclusione: se si avverasse per me il miracolo di Faust e mi fosse dato di ricominciare daccapo, prenderei la stessa strada che presi ventenne nella mia Savona e la percorrerei con la fede, la volontà e l’animo di allora, pur sapendo di doverne pagare il prezzo, lo stesso prezzo che ho pagato. Così, giunto al termine della mia giornata, mi volgo a guardare la strada che ho percorso e mi sembra di avere speso bene la mia vita“.Qualunque cosa egli dicesse o facesse odorava di pulizia, di lealtà e di sincerità.

(….) Sandro Pertini rappresenta nel quadro della memoria del paese un esempio fulgido di quello che oggi è assolutamente necessario venga recuperato: il senso profondo di appartenenza allo Stato e l’agire da parte di chi rappresenta le Istituzioni Pubbliche nell’interesse generale, secondo le istanze della libertà e della giustizia sociale.
Sentire pronunciare a pieni polmoni dal proprio Presidente della Repubblica la frase: “la politica deve essere fatta con le mani pulite!” potrebbe sembrare retorico.
Ma gli italiani del 2012 sanno che non è così.
(….)

 

3.- Sabino Cassese: L’ITALIA: UNA SOCIETA’ SENZA STATO? Il Mulino 2011.

 

(….) “Cassese individua otto punti deboli nel processo di unificazione:

1) Processo di costituzionalizzazione: entrambi gli atti fondativi (Costituzione del 1848 e del 1948) sono stati deboli ed hanno giocato un ruolo insufficiente nella realizzazione di una “costituzione materiale”. La prima è stata un atto di governo e non costitutivo di un popolo (Arendt).Dunque la popolazione non ha partecipato e tale atto non ha assicurato sufficiente stabilità ai governi. Per quanto riguarda la costituzione del 1948, neppure oggi è veramente applicata: il diritto al lavoro, allo studio, … E’ stata sfigurata e spesso non risponde ai principi che essa stessa enuncia.

2) Vi è un distacco fra società e stato. Vi è una sfiducia nei cittadini rispetto allo stato, l’Italia non ha saputo accogliere i suoi figli (forte emigrazione per un lungo periodo nella storia del paese). La maggior parte del paese si è sentita estranea allo stato.

3) Mazzini disse: nell’Italia unita manca l’anima nazione. In sostanza la cronica debolezza dello stato sfocia nel potere dei privati, con l’affermazione di poteri clientelari, della mafia… Es. legami familiari nelle professioni. Serviva uno stato che facesse rispettare un minimo di leggi: un diritto valido per tutti. Il mezzogiorno resta un nodo irrisolto. Da qui l’illegalismo di gruppo e individuale. In sostanza una mancata integrazione nazionale.

4) Legislazione rogatoria (giustificata con le forti differenze di sviluppo esistenti nel paese). Ciò attenuò la generalità della legge (legislazione a doppio fondo). Vennero così fatte spesso leggi speciali (cercate regole fra eccezioni). Una sorta di disobbedienza legale. Ciò è un’arma per gli uffici che vogliono adottare potere di discrezionalità, mentre è un freno per coloro che cercano di applicare tali leggi rompicapo.Il tutto si traduce in un invito a contrattare, negoziare le norme.

5) Non c’è un parlamento rappresentativo né un esecutivo forte. La costituzione non introdusse un meccanismo di stabilità di governo. Solo dopo il 1994 i governi hanno avuto una durata più lunga; tuttavia basti ricordare che nei 150 anni ci sono stati ben 121 governi.Tale instabilità governativa è stata compensata da continuità politica personale e sempre di un partito al governo. Ovviamente il centro motore dello stato è risultato indebolito da questa instabilità.

6) Porosità dello stato. Non è mai stato indipendente dai poteri economici. Ciò non ha consentito ai poteri pubblici di difendere gli interessi di tutti e non solo quelli di alcune categorie. Si sono estese forme di neofeudalesimo: penetrazioni di interessi particolari nello stato. Sviluppo di professioni protette. Le conseguenze sono state contraddittorie: far perdere di vista l’interesse pubblico, conferire legittimazione settoriale. (Il livello di stabilità si misura dal livello di indipendenza da fazioni). Dunque bassa stabilità.

7) Non si è mai formata un’alta classe di funzionari pubblici. Ciò è dovuto al primato della politica. Lo sviluppo della burocrazia è avvenuto per pressioni esterne (economiche e politiche) e non per organizzazione interna. Turati: il sud è vivaio della burocrazia italiana. Una meridionalizzazione della burocrazia porta a non riconoscibilità della burocrazia stessa in tutto il paese. (nomine fatte per anzianità o pressioni politiche e non per merito).

8) Reazione della statalità ai fattori che l’hanno indebolita: fuga dallo stato. In sostanza lo stato ricorre ad altri organi esterni, istituti paralleli (Cassa del Mezzogiorno) perché non si ritiene in grado di fare autonomamente. Perdita dei tecnici pubblici nei lavori pubblici.

Per concludere, ci sono stati grandi progressi nei 150 anni (rispetto a mortalità, scolarizzazione, povertà, altezza media delle persone, durata media della vita….) anche merito dello Stato, tuttavia grossi problemi permangono (divario fra sviluppo reale e potenziale, differenze nella scolarizzazione, nella povertà fra nord e sud); forse tutto questo è dovuto al fatto che abbiamo avuto poco stato.

Naturalmente Cassese invoca lo Stato come ordine giuridico con regole uguali per tutti, ordini e divieti per tutti. Uno Stato che non sia un corpo malato oggetto di sospetto ma un organismo sano verso cui la collettività possa fare affidamento.

In definitiva, conclude e riassume Cassese: l’Italia sarebbe più forte se avesse avuto, fin dal principio, “una Costituzione efficiente, esecutivi duraturi, un severo minimo di governo, leggi che dettano regole e non deroghe, vertici amministrativi scelti in base al merito e autenticamente imparziali, istituzioni capaci di creare fiducia nello Stato come agente della collettività e di costituire il capitale sociale assente”.

Insomma, sarebbe stata più forte se «avesse avuto non meno, ma più Stato.

 

4.- Stefano Rodotà: ELOGIO DEL MORALISMO. Laterza 2011.

(….) L’orizzonte di riferimento di Rodotà è una “moralità costituzionale”, l’insieme di principi e “virtù repubblicane” iscritti nella Carta come deterrente in primo luogo dei “mostruosi connubi” tra affari e politica. La sezione più interessante è infatti quella che riunisce analisi e riflessioni sulla crisi di Tangentopoli, dalle origini (che poté seguire da vicino come deputato) fino alle riflessioni sulla nuova corruzione del 2011. Rodotà si sofferma sul meccanismo perverso, maturato nel corso della storia repubblicana, per cui il ceto politico (quand’era ancora forte dell’immunità) ha affidato ai giudici il compito di “decisori finali”, sbarazzandosi del pesante onere di sanzionare i comportamenti che, seppure privi di rilevanza penale, devono essere stigmatizzati perché sono sbagliati e dannosi, e azzerando così i propri vincoli di moralità e responsabilità. La “giurisdizionalizzazione” e la parallela deresponsabilizzazione della politica hanno privato l’Italia dei normali meccanismi autocorrettivi del sistema che altrove (Francia, Germania, Regno Unito, Usa) supportano e affiancano l’azione della magistratura. Ma non tutto può passare per i tribunali: il moralismo deve tornare a svolgere la sua salutare funzione pubblica.

(……………….)

La sensibilità del laicissimo Rodotà converge con quella evangelica: lo scandalo, come da etimo, skandalon, è una pietra d’inciampo, che ostruisce il cammino e il funzionamento regolare del corpo politico e sociale. Sconcerta riscoprire l’attualità di alcuni vecchi scritti, ma questo dato, avverte il professore, non deve diventare il pretesto per accasciarsi nello sterile fatalismo di quanti considerano la corruzione un dato antropologico a cui arrendersi impotenti. Cresce nei cittadini la fame di “moralismo” per temprare gli eccessi di cinismo e uscire dalla “logica del supermercato”. Rodotà esorta a collocarsi in una prospettiva temporale più lunga, raccogliendo la sfida di un lavoro lento e faticoso. Non vi è azione morale senza la consapevolezza e la tentazione del male. L’esistenza, ineliminabile, del negativo è il dato da cui parte l’azione degli uomini di buona volontà: cosciente di essere sempre insufficiente, ma, proprio per questo, sempre necessaria.

 

 

5.- Andrea Segrè: BASTA IL GIUSTO (quanto e quando). Altraeconomia (Supplemento al n.132, novembre 2011 di “Altraeconomia”).

Lettera a uno studente sulla società della sufficienza. Manifesto per un nuovo civismo ecologico, etico, economico.

 

“Basta il Giusto” è un libro illuminante, che spiega come e perché sia indispensabile incamminarsi verso un nuovo civismo, ecologico, etico, economico. La visione della “società della sufficienza” è il fulcro di questa “lettera”, che Andrea Segrè – preside della facoltà di Agraria dell’Università Alma Mater di Bologna e promotore delle Giornate europee contro lo spreco – indirizza a un suo studente ma anche a ciascuno di noi. Ma che cos’è una società sufficiente? Una società che riscopre il senso del limite, l’essenzialità -nell’essere e nell’avere -, il valore delle relazioni. In un ossimoro, una sobria ricchezza.

La premessa di Segrè è sotto gli occhi di tutti: la logica della crescita e del debito ci ha portato a una crisi economica e ambientale profonda e a disuguaglianze sociali non più tollerabili. “Basta il giusto” è un vero e proprio manifesto che propone di costruire un nuovo mondo, fondato sulla coscienza dei limiti naturali e umani, governato da una rivoluzionaria “ecologia economica” e abitato -finalmente- da un homo civicus che pratica uno stile di vita sostenibile e responsabile.

“Urge trovare -sostiene Segrè- un nuovo rapporto fra capitale naturale ed economico, fra ecologia ed economia. È quest’ultima però che dovremo cambiare, cambiando noi stessi: il nostro stile di vita, i nostri consumi, il nostro modo di produrre”. Per farlo di che cosa abbiamo bisogno? Segré cita Sant’Agostino, un indignato ante litteram: “Sdegno per le cose come sono e coraggio per poterle cambiare”.

Un vero e proprio appello alle generazioni future: per passare da un falso ben-essere a un autentico ben-vivere e -infine- a un mondo più giusto e sostenibile, in cui ci sia “quanto basta”, ma per tutti.

 

 

 

 

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