Tutti noi adulti siamo anche genitori.
Due cose lasceremo ai nostri figli: questa terra e questa società.
Come gliele vogliamo lasciare?
Care amiche e Cari amici,
vi presento due piccoli libretti che trattano però problemi grandi, direi immensi.
E’ un periodo molto critico per la nostra società e per le regole e le istituzioni della nostra democrazia, o più precisamente, la crisi non è sorta oggi; è da lunghi anni che tutto si è gradualmente aggravato. Ora il momento non è solamente critico ma è cruciale, perché i rappresentanti politici, in particolare alcuni leaders, si accingono a dare ai problemi una soluzione; una soluzione qualsiasi, purchè possano vantarsi, loro, di aver dato una soluzione!
Ho trovato molto utile leggere in questo momento questi libretti, in cui l’autore ci stimola e ci aiuta a riflettere su problemi che sono fondamentali per la nostra società e soprattutto per la nostra democrazia: il lavoro e la cultura. Ci stimola a riflettere su questi problemi alla luce di quanto i costituenti ci hanno lasciato, a comprendere il messaggio che hanno siglato nella Carta fondamentale, a risvegliarci per assumerne e assolverne il compito che è stato a noi affidato.
Vi invito a leggerli perché credo che troverete anche voi, in mezzo al turbinio in cui oggi tanti sembrano perdere il senno, un orientamento per il vostro impegno civile, e un criterio per valutare quanto abbiamo ricevuto dai nostri padri e quanto siamo ancora in grado di trasmettere ai nostri figli!
1.- Gustavo Zagrebelsky: FONDATA SUL LAVORO. La solitudine dell’articolo 1. Einaudi 2013
Presentazione in prima e quarta di copertina.
Unico tra i diritti, il diritto al lavoro è esplicitamente enunciato tra i principî fondamentali della Costituzione. La politica deve essere condizionata al lavoro e non il lavoro alla politica. È bene ribadirlo, oggi, mentre è in corso il rovesciamento di questo rapporto.
Il costituzionalismo ottocentesco, come dottrina politica nasce con un marchio classista che l’oppone alla democrazia. Ma basta aprire la nostra Costituzione all’articolo 1 per vedere quanto lungo sia stato il cammino che da allora è stato compiuto: «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro». A questo ha condotto l’ascesa delle masse popolari, cioè del mondo del lavoro, alla vita politica e l’accesso alle istituzioni. In una parola, c’è stata la diffusione della democrazia, sia nella sua dimensione politica che in quella sociale. Il riconoscimento del lavoro come fondamento della res publica, cioè della cosa o della casa comune, significa compimento di un processo storico d’inclusione nella piena cittadinanza.
L’articolo 3 della Costituzione è uno svolgimento dell’articolo 1: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono […] la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». È bene tenerlo a mente, nel momento in cui azioni diverse compromettono il significato costituzionale del lavoro, e al tempo stesso, la dignità del lavoratore.
Dal testo:
In breve, il “lavoro” che compare nella formula della Costituzione è il “lavoro in tutte le sue forme e applicazioni” (art.35, comma 1) e non è dunque prerogativa della “classe lavoratrice”. Sono lavoratori le lavoratrici gli operai, i contadini, gli impiegati, i dirigenti, gli imprenditori, i liberi professionisti, le casalinghe (si disse già allora); anche i giornalisti e perfino i professori universitari: secondo la formula allora in uso, tutti i lavoratori “del braccio e della mente”. Il lavoro in tutte le sue manifestazioni è, dunque, titolo d’appartenenza alla comunità nazionale, alla cittadinanza. E’ un fattore d’unità e d’inclusione: il lavoro spetta a tutti i cittadini e, rovesciano i termini dell’implicazione (dal cittadino al lavoro, dal lavoro al cittadino), con riguardo a chi oggi viene dall’estero per lavorare da noi, si potrebbe aggiungere che – a certe condizioni di stabilità e lealtà – a tutti i lavoratori deve spettare la cittadinanza. (p.20-21)
Il valore inclusivo del “fondata sul lavoro” si arresta però di fronte al parassitismo sociale, cioè di fronte a coloro che vivono esclusivamente del lavoro altrui. Si tratta di coloro che si sottraggono al dovere, stabilito nell’art.4, comma 2, di “svolgere, secondo la proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Questa norma negletta ci trasmette l’idea di una società impegnata a perseguire il bene di tutti o se si vuole, il “bene comune”. Il lavoro è dunque visto in questa prospettiva politica, politica non certo nel senso della politica dei partiti, ma in quello della responsabilità verso la vita della polis. (p.25)
Innanzitutto il mondo del lavoro è in fase di decostruzione. I due principi-guida delle relazioni industriali, l’unitarietà e la generalità, sono insidiaste dalla frammentarietà e dalla specialità. L’art.39 della Costituzione proclama bensì il pluralismo e la reciproca autonomia delle organizzazioni dei lavoratori. Ma esso vuole altresì ch’esse operino solidariamente nei rapporti contrattuali con le controparti aziendali. Questo vuol dire la “rappresentanza unitaria” degli interessi dei lavoratori. … Oggi non è più così. (p.45-46)
Si dice, con una certa aria di innocenza, che l’attività economica si è oggi spostata dalla cosiddetta “economia reale” alla “economia fittizia”, l’economia finanziaria. Questa seconda, in una specie di sortilegio, mira a produrre denaro dal denaro, attraverso transazioni finanziarie a cascata, che generano però quelle che si chiamano “bolle speculative”, scoppiate o in attesa di scoppiare in giro per il mondo.
Ora, l’economia reale può produrre lavoro e stabilità sociale; quella fittizia, no. Sottrae risorse al mondo del lavoro, produce instabilità sociale e favorisce i pochi signori della finanza, fino a quando non saranno anch’essi travolti, e noi con loro ma prima di loro, da un sistema privo di fondamento. Essa dirotta le risorse finanziarie là dove conviene, al fine di riprodurre e ingigantire se stessa e i suoi attori, attori che non sono né i lavoratori né gli imprenditori, ma gli speculatori. Questa finanza “mangia” l’economia reale, l’indebolisce, è nemica del lavoro. (p.51-52)
All’inizio di questa esposizione, s’è detto dell’algoritmo che la tutela costituzionale del lavoro dovrebbe implicare: dal lavoro, le politiche del lavoro; dalle politiche, l’economia. Il posto centrale è occupato dalle politiche. Oggi assistiamo all’impotenza della politica … (p.55)
Ora si pone la domanda che nessun giurista vorrebbe mai doversi porre: l’effettività, cioè i rovesciamenti costituzionali di cui sì è detto, sono solo eventualità che possono correggersi, governare, contrastare? Oppure sono necessità che possono solo essere assecondate, perché ogni resistenza sarebbe vana? Siamo padroni dei rapporti sociali ed economici in cui viviamo o siamo condannati al darwinismo sociale? Se vale la seconda risposta, la Costituzione, per la parte del lavoro, dovremmo dirla antiquata, superata dalla forza delle cose. Se vale la prima, resta aperta la possibilità d’una politica costituzionale del lavoro. Chi deve parlare, agire e combattere di conseguenza, sono le forze politiche, sindacali e culturali. A loro la decisione. (p.56-57)
2.- Gustavo Zagrebelsky: FONDATA SULLA CULTURA. Arte, scienza e Costituzione. Einaudi 2014
Presentazione in prima e quarta di copertina.
L’arte e la scienza «sono» libere, dice la Costituzione. E «devono esserlo». La cultura asservita a interessi politici ed economici tradisce il suo compito. Gli uomini di cultura devono guardarsi dalla piú sottile delle insidie: mettersi al servizio in modo non volontario e quasi inavvertito.
“La società non è la mera somma di molti rapporti bilaterali concreti, di persone che si conoscono reciprocamente. È un insieme di rapporti astratti di persone che si riconoscono come facenti parte d’una medesima cerchia umana, senza che gli uni nemmeno sappiano chi gli altri siano. Come può esserci vita comune, cioè società, tra perfetti sconosciuti? Qui entra in gioco la cultura”. Gustavo Zagrebelsky prosegue la sua riflessione sulla Costituzione: al centro dell’indagine ci sono adesso la produzione culturale e l’istruzione, e le insidie che ne minacciano l’indipendenza dall’economia e dalla politica. Un’indipendenza che certo non può coincidere con l’isolamento, ma che si pone come condizione necessaria affinché la cultura possa assolvere la sua funzione sociale: essere il terzo punto che ci sovrasta, capace di generare quel senso di riconoscimento e di appartenenza che è “fondamento”, appunto, di ogni società.
Dal testo:
La prospettiva (di quanto trattato in queste pagine è), limitata ma pur sempre vastissima. È il valore costituzionale della cultura e il posto ch’essa occupa nella Costituzione: un posto tra le fondamenta. “Fondata sulla cultura”, possiamo dire della Repubblica democratica, pur se questa formula – “fondata su…”-, nel testo della Costituzione, è riservata al lavoro. Ma anche la cultura è lavoro, spesso duro lavoro, non evasione o diletto. Dedicandoci alla cultura, onoriamo dunque l’art.1 della Costituzione cercando di contribuire al progresso spirituale della società”, come vuole l’art.4 della nostra Carta. (p.3-4)
Parliamo qui della cultura come fatto sciale che ha a che vedere con lo stare insieme, con il formare società. (p.4)
La società non è la mera somma di molti rapporti bilaterali concreti, di persone che si conoscono reciprocamente. E’ un insieme di rapporti astratti di persone che si ri-conoscono come facenti parte d’una medesima cerchia umana, senza che gli uni nemmeno sappiano che gli altri siano. Questa è la questione decisiva per ogni vita sociale: “senza conoscersi personalmente”. Come può esserci vita comune, cioè società, tra perfetti sconosciuti? Qui entra in gioco la cultura.
Riconoscersi senza conoscersi è condizione d’esistenza d’ogni società fatta di grandi numeri. (p.5)
Questo “qualche cosa” di comune è “un terzo” che sta al di sopra di ogni uno e di ogni altro e questo “terzo” è condizione sine qua non d’ogni tipo di società, non necessariamente della società politica. Il terzo è ciò che consente una, per così dire, “triangolazione”: tutti e ciascuno si riconoscono in un punto che li sovrasta e da questo riconoscimento, discende il senso di un’appartenenza e di un’esistenza che va al di là della semplice vita biologica individuale e dei rapporti solo interindividuali. (p.6)
La costituzione nel suo più profondo e sostanziale, è l’organizzazione di questa triade: economia, per assicurare i beni materiali; politica, per assicurare ordine e sicurezza; cultura, per creare senso d’appartenenza. A ben riflettere, nella sfera economica troviamo divisione e rivalità per acquisire proprietà; nella sfera politica ugualmente, per acquisire potere. Economia e politica producono conflitti e disgregazione. Tutte le società, senza eccezione, sono destinate a fallire se non sono tenute insieme da una forza indipendente da economia e da politica, e questa forza è di natura culturale. (p.11)
Per ciò che precede, si può stabilire questo punto: anche le società secolarizzate basate sulla condizione di libertà e sull’aspirazione all’uguaglianza non possono fare a meno di qualche loro o “terzo”, come garanzia di tenuta contro le tendenze all’auto-dissoluzione. L’idea di società costruite sull’incontro puramente orizzontale degli interessi in campo senza quella triangolazione di cui si è detto sopra, è un’idea falsa. Non si può convivere stabilmente in grandi aggregati di esseri umani che nemmeno si conoscono facendo conto solo su patti degli uni con gli altri, come pensano i contrattualisti. … a chi o a che cosa ci si potrebbe richiamare per richiedere l’adempimento degli obblighi assunti, ogni volta che l’interesse mutato spingesse qualcuna delle parti a violarli? (p.16)
Ogni cosa, nella sfera pubblica, riceve il suo significato da dove sta: se ex parte societatis o ex parte potestatis. La cultura è fattore di socializzazione. Ma ciò che è decisivo, è se “ci si socializza” autonomamente o se “si è socializzati” autoritariamente. La cultura “tiene insieme”. Ma può tenere insieme nella libertà oppure nella soggezione. (p.22)
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, dice l’art.33, primo comma, della Costituzione. Questa norma di principio è da considerare la base della “costituzione culturale” così come esiste una “costituzione politica” e una “costituzione economica”, ciascuna delle quali contribuisce, per la sua parte, alla costruzione della “tri-funzionalità” su cui si regge la società, secondo quanto già detto. La Costituzione, senza aggettivi, è la sintesi di queste costituzioni particolari.
Soffermiamoci per un momento sull’uso del verbo essere nella norma costituzionale citata.
Innanzitutto, dicendosi che l’arte e la scienza sono libere e che libero ne è l’insegnamento si dà una definizione. L’arte e la scienza sono così: libere. L’attività intellettuale non libera, cioè asservita a interessi d’altra natura non è arte né scienza: è prosecuzione con altri mezzi di politica ed economia. (p.23)
Non c’è bisogno di insistere: la cultura è un fatto di durata e di profondità. Non si costruisce sommando istanti isolati, ma collegandoli in un senso che crea comunanza. Il collegamento è, per l’appunto, compito della cultura. Solo così si forma “il terzo” di cui s’è detto all’inizi0o: il terzo che dà sostanza spirituale e garanzia alla vita sociale. (p.47)
Siamo, infatti, pienamente nel campo della cittadinanza, cioè della condizione di partecipazione attiva, consapevole e responsabile a quanto c’è di più decisivo per la tenuta della compagine sociale, cioè la partecipazione a una delle tre “funzioni sociali”: la funzione politica di fondo, meno visibile ma, in realtà, più determinante della stessa azione politica in senso stretto, la quale, nella prima trova i suoi limiti e i suoi fini. Si tratta, per l’appunto, della funzione della cultura, (p.48)
L’etimologia che, in molti casi, è più sapiente d’ogni altra scienza, collega le idee alle immagini, all’immaginare (….) – onde possiamo dire che le idee sono vedute o visioni che la mente si rappresenta della realtà pensata. Che cosa, infatti, sono le idee, se non ciò che viene dalla mente, cioè ciò che è “prodotto” o “scoperto” dalla mente che entra in contatto con qualcosa che essa pensa come realtà? (p.49)
Qui, semplicemente, prendiamo atto che tutti passiamo la vita tra idee; che possiamo fuggire da ciò che ci circonda e rifugiarci sull’isola deserta, ma che anche sull’isola deserta le idee saranno con noi. Anzi, la solitudine è la condizione perfetta della vita “ideale”. (50)
A questo punto preferisco rinviarvi alla lettura testuale della terza parte: “La scala delle idee” (vedi l’allegato). Mi permetto solo una piccola sintesi o raccordo. L’autore descrive le idee in base alla funzione che esse svolgono nella vita di un individuo e di una società, con particolare attenzione al contributo che esse offrono a coloro che sono incaricati di gestire la società nel presente e di progettarla per il futuro.
P.S.
Avevo intenzione di aggiungere qualche mia riflessione, stimolata da questa letture. Tuttavia ho rinunciato a presentarvele perché il mio scopo principale non è quello di influenzarvi con le mie opinioni, ma quello di suggerirvi la lettura di alcuni libri che io ho trovato importanti per chiunque voglia impegnarsi sui problemi della nostra società; e questo ognuno può farlo anche senza conformarsi alle mie opinioni. Può cioè trarre dalle letture che consiglio riflessioni diverse dalle mie, ma ugualmente utili nella democratica discussione per progettare la nostra società. Delle riflessioni, delle mie e delle vostre, possiamo parlarne a parte.
Varese 13.05.2014 Mario Cucchi / Nonno Nuvola
nonno.nuvola@gmail.com