Letture civili

Lc 16 – Capitalismo?

Tutti noi adulti siamo anche genitori.

Due cose lasceremo ai nostri figli: questa terra e questa società.

Come gliele vogliamo lasciare?

 

Care amiche e Cari amici,

perché vi propongo questa lettura? Perché noi tutti viviamo nel capitalismo, viviamo di capitalismo, noi tutti siamo capitalisti!

Possiamo fare una simulazione: ipotizziamo una scala di ricchezza-povertà da 1 (massimo della povertà) a 10 (massimo della ricchezza); ebbene, in qualunque posizione di questa scala ci riconosciamo, siamo capitalisti! Paradosso: anche chi non ha nulla e vive di elemosina, vive dell’elemosina del capitalismo!

Come definirei io il capitalismo? Direi che è quel potere politico-ecomomico-militare che ha stabilito un “prezzo” a tutto: ha trasformato salute e malattia in costi, lavoro in produttività, beni naturali (acqua, terra, aria) in bollette! Ha sciolto il legame di responsabilità umana che vi era tra il padrone e il servo, sostituendo quel legame con un contratto temporaneo fra un datore di lavoro e un salariato. E infine, ha trasformato il denaro da mezzo in “valore”. Il capitalismo mi sembra tanto simile al lupo delle favole: ha sempre fame!

Come introduzione all’argomento di questa lettura civile vi ripropongo questi due famosi testi. Ognuno può facilmente commentarli da sé.

 

1.- Secondo la versione narrata da Ovidio nelle Metamorfosi, un giorno Dioniso aveva perso di vista il suo vecchio maestro e patrigno, Sileno.

Il vecchio satiro si era attardato a bere vino e si era perso ubriaco nei boschi, finché non fu ritrovato da un paio di contadini frigi, che lo portarono dal loro re, Mida (secondo un’altra versione, Sileno andò a finire direttamente nel giardino di rose del re).

Mida riconobbe Sileno e lo trattò affabilmente, ospitandolo nella sua reggia per dieci giorni e notti, mentre il satiro intratteneva il re e i suoi amici con racconti e canzoni.

L’undicesimo giorno, Mida riportò Sileno in Lidia da Dioniso, il quale, felice di aver ritrovato il suo anziano tutore, offrì al re qualsiasi dono desiderasse. Mida, allora, gli chiese il potere di trasformare in oro tutto ciò che toccava. Il re si accorse presto però che in tal modo non poteva neppure sfamarsi, in quanto tutti i cibi che toccava diventavano istantaneamente d’oro. Rendendosi conto che la sua cupidigia di denaro lo avrebbe portato alla morte, implorò Dioniso di togliergli tale potere. Il dio, impietosito dal pentimento del re, esaudì la richiesta.

 

2.- Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto

l’ultimo fiume avvelenato,

l’ultimo pesce pescato,

vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.

La nostra terra vale più del vostro denaro.

E durerà per sempre.

Non verrà distrutta neppure dalle fiamme del fuoco.

Finchè il sole splenderà e l’acqua scorrerà,

darà vita a uomini e animali.

Non si può vendere la vita degli uomini e degli animali;

è stato il Grande Spirito a porre qui la terra

e non possiamo venderla

perchè non ci appartiene.

Potete contare il vostro denaro

e potete bruciarlo nel tempo in cui un bisonte piega la testa,

ma soltanto il Grande Spirito sa contare i granelli di sabbia

e i fili d’erba della nostra terra.

Come dono per voi vi diamo tutto quello che abbiamo

e che potete portare con voi,

ma la terra mai.

Piede di Corvo, Piedineri

 

Ha-Joon Chang: 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo. Il Saggiatore, Milano, 2012.

Questo è il libro che vi invito a leggere, senza però ricorrere a mie parole (sintesi, commento, o citazioni scelte dal testo) perché ho trovato altri commentatori competenti e sintetici; a loro lascio il compito di presentarvelo e di convincervi a leggerlo. Mi permetto solamente di riportare, poco più sotto, l’incipit del terzo capitolo. Infine, se trovate eccessive queste presentazioni, leggete il libro! Vi assicuro che non è noioso.

 

1.- (L’immagine, Tamara Lempicka – Ragazzachedorme)

Ha-Joon Chang ha una missione: distruggere i falsi miti economici del mondo in cui viviamo. Ci avevano raccontato che il libero mercato, la globalizzazione e la tecnologia ci avrebbero portato prosperità e progresso, e allora com’è che siamo sprofondati in una crisi che non dà segni di tregua? Chang ha 23 risposte a questa domanda. Prende ogni dogma della teoria economica neoliberista e lo rivolta come un guanto. Svela le verità e gli interessi che si nascondono dietro a ogni tesi economica e ci mostra come funziona veramente il sistema. Qualche esempio? il libero mercato non esiste, la globalizzazione non sta arricchendo il mondo, non viviamo in un mondo digitale, la lavatrice ha cambiato la vita più di internet, i paesi poveri sono più intraprendenti di quelli ricchi, i manager più pagati non producono i migliori risultati.

Questo libro galvanizzante, ricco di fatti su denaro e uguaglianza, libertà e avidità, dimostra che il “libero” mercato non è solo un male per le persone, ma è anche un modo inefficiente di guidare le economie. In “23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo” Chang profila le alternative e fa intravedere una via d’uscita dalla crisi. E ha ogni credenziale per farlo, perché, come dice Martin Wolf dalle pagine del Financial Times, “ogni ortodossia ha bisogno di critici efficaci. Ha-Joon Chang è probabilmente il critico più efficace del neoliberismo oggi al mondo”.

 

2.- Dal testo: cap.3: Nei paesi ricchi la maggior parte della gente viene pagata più di quanto dovrebbe.

 

Cosa ti dicono.

In un’economia di mercato ciascuno viene retribuito in proporzione alla propria produttività. Per i progressisti dal cuore tenero è difficile accettate che uno svedese venga pagato cinquanta volte più di un indiano per lo stesso lavoro, ma il diverso compenso è un riflesso del reciproco grado di produttività. I tentavi di ridurre artificialmente queste differenze – per esempio introducendo in India una legislazione sul salario minimo – portano solo a retribuire in modo iniquo e inefficiente le abilità e gli sforzi individuali. Solo un mercato del lavoro libero può assicurare alle persone una remunerazione efficiente ed equa.

Cosa non ti dicono.

Le differenze tra i salari dei paesi poveri e i salari dei paesi ricchi non derivano tanto dai differenti livelli di produttività, quanto dai controlli sull’immigrazione. Se ci fosse libertà di migrazione, gran parte dei lavoratori dei paesi ricchi potrebbe essere, e di fatto è, rimpiazzata da lavoratori dei paesi poveri. In altre parole, i salari sono perlopiù determinati politicamente. Il rovescio della medaglia è che i paesi poveri sono poveri non a causa dei loro poveri, molti dei quali sono più competitivi dei propri omologhi dei paesi ricchi, ma causa dei loro ricchi, che invece non lo sono abbastanza (scusaste il bisticcio di parole). Questo non significa che i ricchi dei paesi ricchi possano darsi pacche sulle spalle e compiacersi di quanto sono brillanti. La loro produttività è l’eredità storica delle istituzioni collettive che li sorreggono. Quindi che siamo retribuiti in base al nostro valore individuale è un mito: dobbiamo sfatarlo se vogliamo costruire una società veramente equa.

 

3.- C. Wolff: Come ti smonto il Neoliberismo in 23 mosse.

Ha-Joon Chang è un economista coreano trapiantato in Gran Bretagna dove insegna a Cambridge. Mr Chang non è un anticapitalista ovviamente, è solo un economista eterodosso che si rifà alla tradizione istituzionale di scuola americana, quella per intenderci dei Veblen, Commons e Galbraith. La teoria economica sta attraversando un tale periodo di monismo ideologico che gli economisti si dividono in ortodossi (il mainstream più o meno neo-lib) ed eterodossi dove sono ammucchiati tutti gli altri, gli “eretici”. Questi eretici sono poi una categoria assai diversificata, includente tanto quelli della complessità-bioeconomisti-evoluzionisti-ecologisti, che i marxisti, i neo-keynesiani, le femministe, gli sraffiani, gli istituzionalisti ed a tratti, financo gli austriaci che porre fuori dalla tradizione liberale è assai arduo. Ma tant’è.

Chang scrive un libricino di facile lettura (ormai i libri non sono più scritti dagli autori ma dagli editor): 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo, (Il Saggiatore, Milano, 2012) in cui introducendo per ognuno dei 23 capitoli tipiche tesi mainstream, le smonta una ad una.

 

1) Si comincia col libero mercato, il cui perimetro di libertà è sempre presente, non è mai libertà assoluta e che viene definito dal politico e non certo dall’economico. Sono stati governi a decretare prima libero e poi non più libero lo schiavismo, il commercio dell’oppio, il lavoro minorile. Poiché il concetto di libertà è quindi dato dal politico, i liberisti sono ideologi di un certo tipo di libertà relativa, quella che fa quadrare i conti degli interessi che sostengono.

2) Le aziende condotte dal principio del “valore per gli azionisti” non creano valore produttivo ma finanziario e spesso lo fanno tagliando dipendenti ed investimenti e strozzando fornitori. Jack Welch, ex CEO di GE che nel 1981 coniò il concetto di “shareholder value” pare che recentemente abbia mutato giudizio definendola “l’idea più stupida del mondo”.

3) I lavoratori non vengono pagati per il loro valore assoluto, ma relativamente alle cornici di contesto delle singole economie-paese. Pensare di mettere tutti i lavoratori in uno stesso mercato planetario è una truffa. Un guidatore di autobus svedese ha un salario 50 volte superiore a quello di un collega indiano quando semmai l’indiano ha ben più capacità visto che deve muoversi tra carretti, pedoni indisciplinati, animali e biciclette. In realtà agisce un potente sbarramento, di nuovo politico, un protezionismo del lavoro agito tramite barriere all’immigrazione che nessun liberale si sogna di rimuovere. Così, “produttività” è un concetto sistemico, quindi economico-nazionale, non certo dipendente dal singolo individuo e dalla sua “flessibilità”.

4) La quarta tesi è ad effetto: la lavatrice ha cambiato il mondo più di internet. Chang picchia duro su uno di quei topos con i quali si costruisce la nostra visione del mondo. L’economia dell’immateriale è stata una falsa promessa, un fenomeno di ben più misurata significanza rispetto a quanto si vada ripetendo nei mantra post moderni.

5) Il presupposto dell’egoismo razionale dal quale discende l’intera teoria economica quantificabile, individualista, razionale è del tutto arbitrario. L’individuo asociale è un disturbato e così la teoria economica che da questo patologico presupposto discende (autistic economy).

6) La stabilità economica che dipende dall’azzeramento dell’inflazione, quindi dalla gestione della moneta, serve solo come protezione di chi ha ingenti capitali da investire. Nel dopoguerra con inflazione si cresceva più del doppio degli ultimi trent’anni senza inflazione. Una moderata inflazione addirittura potrebbe fare bene alla crescita e comunque è certo che zero inflazione non porta di per sé alcuna crescita correlata.

7) Le politiche liberiste sul commercio internazionale rendono più ricchi i paesi ricchi e non certo i paesi poveri. Riecheggiano qui le osservazioni dell’economista tedesco Friedrich List (1789-1846). Tra l’altro, gli Stati Uniti furono protezionisti almeno dal 1830 al 1940 e la Gran Bretagna dal 1720 al 1850. Si può così notare come la furia libero mercatistica emerga solo quando il paese a capitalismo egemone sull’intero sistema-mondo, inizia la sua fase più prettamente imperiale. La libertà allora è quella dell’agente imperiale che “deve” poter entrare nella tua economia per eterodirigerla a sua convenienza.

8) La transnazionalità globalizzata va ridimensionata. Vere e proprie imprese transnazionali sono pochissime, per lo più sono imprese nazionali con prospezione internazionale. Nei servizi poi questo radicamento nazionale si accentua data l’impossibilità di prestare servizi a distanza. La maggior parte degli investimenti esteri comprano aziende già esistenti (per ristrutturarle e rivenderle ) e non ne creano di nuove e molte aziende manifatturiere svolgono sull’estero soprattutto attività finanziaria e non produttiva.

9) Anche la favola dell’era post-industriale va ridimensionata. Spesso l’industria contribuisce al PIL meno che in passato perché le attività dei servizi hanno un valore più alto, anche in ragione dell’aumento di produttività che è più marcato proprio nelle attività industriali. Outsourcing e riclassificazioni di attività prima conteggiate come manifattura alterano le statistiche. Diminuzione dell’industria inoltre provoca dipendenza, sbilancia la bilancia dei pagamenti, depotenzia le possibilità di crescita e deprime l’occupazione. L’unica vera economia post industriale è quella delle Seychelles.

10) Gli Stati Uniti non hanno il tenore di vita più alto del mondo. Molto dipende da come si effettuano conteggi e comparazioni ma empiricamente un paese con tra i più alti indici di diseguaglianza, criminalità, ore lavorate (quindi mancanza di tempo libero), vita meno lunga e maggiore mortalità infantile non si può dire un paese felice.

11) Non esiste alcuna ragione strutturale che condanna l’Africa al sottosviluppo. La mancanza di possibilità al cambiamento è dovuta per lo più dall’ingerenza occidentale che continua a condizionare per sfruttare, le immense ricchezze del continente. Il dato peggiorativo proviene proprio dalla dissennata applicazione coatta di politiche di libero mercato e di programmi di aggiustamento strutturale imposti da Fmi e WB.

12) Anche l’assunto per il quale la capacità di intervento dello stato sulla complessità del mercato sarebbe impedita da un velo d’ignoranza è falso. L’autore che è coreano, riporta proprio casi del suo paese che è passato da economia primitiva ad economia di punta grazie ad un strategia coordinata in cui c’è la visibilissima mano dello stato. Così per Giappone, Francia ed anche se non lo dicono gli stessi Stati Uniti per quanto attiene alle tecnologie dell’informazione, biotecnologia, aerospazio. Altresì casi come Windows Vista o Nokia N-Gage dimostrano possibili errori macroscopici anche da parte del mercato. Di fronte all’errore, stato e mercato quantomeno si equivalgono.

13) È qui la volta del famigerato “trickle down” ovvero quella irrazionale convinzione per la quale facendo i ricchi sempre più ricchi poi la ricchezza di questi “colerebbe” sugli strati inferiori tramite investimenti che producono poi crescita e quindi ricchezza per tutti. Anche qui si possono leggere dati empirici del tutto contrari comparando il trentennio post bellico redistributivo e crescista con il trentennio neoliberale, che fa corrispondere bassi e stentati livelli di crescita a fronte di una impennata degli indici di diseguaglianza. Ma anche il senso comune può soccorrerci. Un milione in più ad un miliardario diventa proprietà accumulata o investimento che date le caratteristiche degli attuali mercati beneficerà un altro sistema paese. Cento euro di più ad un metalmeccanico diventano consumo, il consumo chiama produzione che chiama occupazione e il tutto fa crescita e circolazione della ricchezza.

14) Gli esorbitanti stipendi dei top manager non sono fenomeni spontanei del mercato. Essi sono determinati in buona parte proprio dal potere che questi top manager hanno assunto, potere di autodeterminare il proprio stipendio. Questo è schizzato a ordini di centinaia di volte quello dei sottoposti e negli USA a tre, quattro volte quello degli omologhi europei o giapponesi.

15) Nei paesi più poveri non è vero che manchi intraprendenza, anzi ce ne è sicuramente di più di quanta ce ne sia in Occidente proprio perché maggiore è la richiesta di arte di arrangiarsi. Altresì la figura dell’eroe individuale che con la propria forza di volontà riesce ad emergere, a fabbricare il proprio destino è pura letteratura. Senza politiche di contesto, infrastrutture, legislazioni, sistemi complessi spesso promossi da una autorità statale, non c’è alcuna possibilità di far crescere ed affermare un’impresa.

16) Il presupposto dell’iper-razionalità delle scelte economiche individuali, il presupposto che regge come “se”, l’”allora” dell’intera presunta scienza economica è palesemente inconsistente. La nostra razionalità è assai limitata, condizionata, agita entro grandi semplificazioni di complessità e routine fideistiche ed abitudinarie senza le quali non potremmo vivere. Viviamo immersi in oceani di incertezza e non abbiamo alcuna possibilità di fare calcoli neanche probabilistici del rischio effettivo.

17) Altresì non esiste alcuna correlazione provata tra il livello medio di istruzione generale di un paese ed il suo successo economico. Molte attività meccanizzate o informatizzate addirittura richiedono solo mansueti esecutori. Le materie di insegnamento servono ad altro che non ad aumentare la produttività e l’inflazione di “alti studi” non fa che rendere maggiormente classista l’entrata nel mondo di quei lavori a maggiori opportunità. La Svizzera è uno dei paesi più ricchi del pianeta ed ha il tasso d’immatricolazione universitaria più basso tra i paesi sviluppati. Da buon istituzionalista, Chang rimarca l’importanza di condizioni di contesto per creare benessere economico, condizioni alla portata di istituzioni collettive, tra cui lo stato.

18) Gli interessi dell’imprenditori privata non coincidono sempre con quelli della nazione. Gli interessi della nazione debbono essere promossi dal governo, cioè dallo stato, anche come regolamento di contesto nell’interesse stesso dell’imprenditoria privata.

19) L’ostracismo alla pianificazione in economia non è totalmente giustificato anche perché anche le cosiddette economie di mercato hanno parti abbondantemente pianificate. Certo la totale pianificazione centralizzata, soprattutto all’evolversi ipercomplesso delle nostre economie fallisce, ma la pianificazione dei contesti o “pianificazione indicativa” è stata ampiamente praticata con successo dalla Francia, alla Finlandia, Norvegia, Austria, Giappone, Corea, Taiwan, così le politiche economiche di settore e la politica industriale in particolare. Esiste ancora intrapresa economica statalizzata e il settore della ricerca e sviluppo è totalmente supportato negli Stati Uniti d’America. Così le aziende, tanto più grandi sono tanto maggiore è la loro pianificazione pluriennale, con grande articolazione di strategie. Così per i paesi, più grandi e diversificati sono più controllano ed agiscono in favore della propria economia.

20) L’uguaglianza delle opportunità è nulla se non c’è uguaglianza delle possibilità (il vecchio dibattito tra “liberta da” e “libertà di”).

21) Lo stato sociale aiuta ad assumersi rischi ed assumendosi i rischi del cambiamento la società è più dinamica ed aperta. Le automobili più veloci hanno anche i migliori impianti frenanti. Questo è un dato solido e concreto che si può desumere dalla comparazione tra indici di spesa sociale e crescita del PIL a livello delle economia più sviluppate.

22) Tra mercati finanziari ed economia reale c’è una asimmetria nei tempi. Il capitale impaziente della speculazione ha una logica diversa dal capitale paziente che si richiede nello sviluppo di una iniziativa economica reale. Occorre render più difficili le acquisizioni ostili, vietare le vendite allo scoperto, aumentare gli obblighi di margini, introdurre restrizioni alla libera circolazione dei capitali. Occorre cioè domare e limitare la finanza la cui totale libertà è altamente dannosa.

23) Minore crescita, maggiore instabilità economica, maggiore diseguaglianza, crisi ripetute e crollo del 2008. Questo il pacchetto dei risultati dell’economia liberista. Di contro, l’intero pacchetto della formidabile crescita orientale degli ultimi anni è stata fatta in totale assenza di economisti. Gli economisti liberisti non solo hanno fatto cattiva economia ma soprattutto hanno svolto un ruolo altamente ideologico basato sulla sistematica inversione del buonsenso: l’ineguaglianza fa bene, le tecnologie sono tutto, l’incertezza esistenziale è propedeutica alla crescita, svendere la propria industria fa bene, non bisogna occuparsi di politica economica perché l’economia si autoregola, abbandoniamo lo stato ed abbandoniamoci al mercato, diamo più soldi ai ricchi, esaltiamo l’egoismo, distruggiamo la società. Un lungo delirio istituzionalizzato.

E’ tempo di sentirsi a disagio” chiude Mr Chang. Si riferisce al suo ambiente quello dell’accademia mainstream che invita senza troppi complimenti a pentirsi e ravvedersi, ma può essere un buon consiglio anche per chi ne è fuori.

Si tratta di rimettere sul tavolo i sistemi delle idee economiche per giungere a nuove sintesi avanzate.

Marx, Keynes, Minsky, ma anche List, Kaldor, Hirschmann, Simon, insomma una sorta di unione degli eterodossi alla ricerca della fondazione di un nuovo paradigma economico, perché per quello vigente sta giungendo “la fine dei tempi”. O almeno così speriamo.

4.- Michele Lauro

Malgrado la caduta del comunismo viviamo ancora in economie pianificate. Una provocazione? Fino a un certo punto, spiega il professor Ha-Joon Chang, consulente anglocoreano di Nazioni Unite e Banca Mondiale. Tra le 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo (Il Saggiatore) c’è anche questa: il libero mercato non esiste, le sue regole e i suoi limiti e sono determinati politicamente da un’oligarchia – le grandi aziende, i supermanager, le lobby del capitale finanziario – che ci ha portati dritti nella più grande recessione dai tempi della grande depressione.

Ponendo al servizio del lettore la sua formidabile capacità divulgativa, Chang scoperchia i falsi miti del capitalismo neoliberista con un linguaggio diretto ed efficace, ricco di aneddoti, humour ed esemplificazioni, pragmatico e stimolante. Lo schema dei 23 capitoli è semplice e ricorrente: “cosa ti dicono”, “cosa non ti dicono” a proposito di un tema preciso. Seguono un approfondimento e una conclusione ma il concetto fondamentale è tutto lì, racchiuso nel nocciolo iniziale. Addirittura all’inizio c’è una mappa che suggerisce come leggere il libro in base ai propri interessi: quali capitoli privilegiare, quali saltare.

Amo questa versione democratica del saggio. Mi è sembrato finalmente di comprendere in maniera chiara un’idea che prima era solo un sospetto: molte delle misure che dal 2008 a oggi hanno “salvato il mondo” vanno contro le teorie classiche degli economisti liberisti. L’autore invita a non farci imbrigliare dall’ideologia che ha imperato nell’ultimo trentennio. Ci hanno raccontato che i poveri sarebbero stati meno poveri se i ricchi fossero divenuti più ricchi, che l’unica bestia davvero feroce era l’inflazione, che la globalizzazione e il libero mercato erano l’unica possibilità di progresso e benessere. Allora come mai siamo nel pozzo di una crisi che nessuno è stato capace di prevedere?

Ha-Joon Chang ovviamente non è un anarchico sovversivo bensì docente di economia e sviluppo. Ed è questa la notizia interessante. Parafrasando una celebre battuta di Winston Churchill a proposito della democrazia, l’economista di origine coreana afferma che “il capitalismo è il peggior sistema economico eccezion fatta per tutti gli altri”. Questo non è un libro anticapitalista ma una denuncia della deriva neoliberista. La sua visione alternativa si pone nel solco di brillanti economisti del calibro di Arthur Pigou, Amartya Sen, William Baumol e Joseph Stiglitz, inascoltate (ripudiate) Cassandre che fin da tempi non sospetti immaginavano un futuro per il capitalismo solo abbandonando la sua versione “sfrenata”.

Può darsi, ed è perfino probabile afferma Chang, che la motivazione del profitto sia come ai tempi di Adam Smith la spinta più potente ed efficace per alimentare la nostra economia. Tuttavia bisogna ripensare un sistema che tiri fuori il meglio e non il peggio dalla gente: “uno stato sociale generoso rende la gente più aperta al cambiamento”; e d’altra parte il mercato senza regolamentazione rischia continuamente il tracollo. Una scienza economica più etica, equa e democratica è quella in cui i benefici si stendono su una porzione il più ampia possibile della popolazione mondiale, per una reale “economia del benessere”.

Nei manager americani sovrapagati e ultraprotetti Chang individua l’anello debole del sistema. Durante la crisi finanziaria del 2008, a parte casi rari ed esemplari a beneficio delle prime pagine dei telegiornali, i dirigenti responsabili del fallimento di grandi imprese hanno lasciato il campo ricchi e impuniti, mentre è spettato ai governi (quindi ai contribuenti) salvare le aziende fallite. Il potere smisurato che la classe manageriale ha raggiunto nel sistema occidentale è economico ma soprattutto politico e ideologico, capace di manipolare il mercato e scaricare su altri le conseguenze negative del proprio agire.

È tempo di sentirsi a disagio, conclude Chang. Il danno della dottrina neoliberista come è stata praticata negli ultimi decenni va al di là del disastro economico. La crisi finanziaria ci ha rubato il futuro, per dirla con Marc Augé dal suo ultimo libro, Futuro (Bollati Boringhieri), togliendo ai giovani la speranza di progettare l’avvenire e bloccandoli in un eterno, precario, presente. È tempo di ricostruire l’economia mondiale e l’intera organizzazione della nostra società, per esempio mettendo un freno alla finanza, favorendo le economie dei paesi in via di sviluppo, ridistribuendo il reddito verso il basso. Proposte tanto sensate quanto “scandalose”.

 

 

5.- C. Wolf: Come ti smonto il neoliberismo in 23 mosse.

Posted on novembre 20, 2012

di unviaggiatoreblog

 

Molte cose sono giuste…forse quasi tutte, almeno parzialmente… Il grosso problema di questi articoli diciamo antiliberisti è che continuano a considerare liberiste situazioni che non lo sono che minimamente…. Per quanto riguarda l’Italia, i problemi non sono certamente legati alla sua parte liberista. Non si possono considerare liberisti i superprivilegi, superremunerazioni, supervitalizi, superpensioni di tutti i vari governanti e politici e dirigenti statali e consulenti vari… E nemmeno si può considerare liberista il loro infinito numero…E sarebbe molto sbagliato considerare liberista una struttura dello Stato assolutamente sovradimensionata… con infiniti enti stipendifici inutili e talvolta dannosi. Ed infiniti dipendenti/collaboratori dello Stato e banchettatori vari e tutti strapagati e straprivilegiati per non fare assolutamente niente o addirittura meglio se non si presentano proprio al lavoro. Non si possono considerare liberisti i superstipendi RAI e di molti altri enti statali con funzioni solamente nepotistiche e clientelari. Liberismo non sono certamente tutti i supercosti dello Stato, dalle autoblu, blindate, scorte, ai molteplici incarichi e soprattutto remunerazioni di tutti i vari Castisti e banchettatori dello Stato. Non sono certo liberiste le 18 ore settimanali degli insegnanti ed i loro 8 mesi di lavoro come non lo sono le inesistenti ore di lavoro dei docenti universitari e le loro remunerazioni e i loro vari privilegi e trattamenti. Non sono state certamente liberiste le pensioni statali a 40 anni e comunque tutti i privilegi pensionistici degli statali ancora in essere…. Non sono certo liberiste le organizzazioni degli Albi professionali e le competenze dei Notai o il numero chiuso delle Farmacie…. E non si possono considerare liberiste nemmeno le varie frodi delle spese sanitarie, tutte regolarmente concordate con organizzazioni partitiche che hanno sempre lavorato solo per perpetuare i loro poteri e privilegi. Non sono liberiste le lauree false o amichevolmente conseguite o le graduatorie manipolate o i concorsi truccati…. Ultimamente con sit-in di protesta dei candidati proprio al concorso per magistrati…. Non si possono considerare liberismo i 29.000 forestali della Regione Sicilia o le varie consulenze sul nulla ultimamente assegnate dal governatore, ma che si inseriscono solamente in una tradizione molto antica consolidata. E le varie tangenti tutte di funzionari statali e politici vari… tutto questo e infinitamente altro, non si può certo considerare liberismo…. Il concetto è questo ed è molto semplice: E’ sbagliato parlare di errori o fallimenti del liberismo, riferendosi a situazioni… molto socialiste o corrotte o Keynesiane….

 

Varese 16.06.2014                                                                        Mario Cucchi / Nonno Nuvola

nonno.nuvola@gmail.com

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